NEL LARGO S. DOMENICO
Realizzata ad opera dei Padri Domenicani e per questo comunemente chiamata san Domenico, la chiesa di san Giovanni Battista la si può datare tra il 1298 e il 1317 dal momento che i due volti mitrati, dai quali nasce l’archivolto nella facciata, rappresentano: a destra il vescovo Bernardo d’Angers, la cui elezione canonica da parte del Capitolo atriano fu contrastata da quello di Penne, ma confermata da Bonifacio VII il 3 aprile 1302; a sinistra del vescovo domenicano, l’atriano Pietro d’Atri, priore dei domenicani prima e vescovo successivamente (1270-1315), fu discepolo tra i più celebri di san Tommaso d’Aquino e da Celestino V trasferito, da vicario generale dell’Ordine, a priore della provincia monastica del regno di Sicilia separata da quella di Roma.
LA FACCIATA
Si presenta con terminazione piana, a mo’ delle chiese aquilane, conservando del periodo medievale solo la parte inferiore. Il coronamento ad archetti è manufatto del XVI sec.; i finestroni sono databili al XVIII sec.
IL PORTALE
Lo schema architettonico è pressocché uguale a quello della Cattedrale (1305), eseguito dall’atriano Rainaldo.
Grande artista (in una iscrizione viene definito opifex operis) è insieme a Raimondo del Poggio, che scolpì le porte di mezzogiorno della cattedrale, da porsi tra i maggiori che concepirono ed eseguirono in quel glorioso stile neolatino che, come nel monumento atriano, appare severo, imponenete nei grandi archi, negli alti pilastri, ma parimenti grazioso e felice nei ricami marmorei, nelle colonnine snelle, nelle linee eleganti delle ogivali e dei portali.
Mentre in quello della cattedrale lo stile architettonico di Rainaldo, si definisce con forme più slanciate, nel nostro si abbandona ad un gusto ancora romanicheggiante e dà maggiore affidamento alla plastica. Il frontone è disegnato da elementi frammentari, colonnine tortili in verticale e foglie d’acanto ricurve.
LA VOLTA
L’attuale sostituisce il plafond ligneo settecentesco e rappresenta l’espansione dell’Ordine di san Domenico nei quattro continenti: Europa, Asia, America e Africa.
Nel 1724 l’atriano Giovambattista Savelli dipinse la volta lignea, sullo schema dell’affreso eseguito dal gesuita laico fratel Andrea Pozzo, nella chiesa di sant’Ignazio in Roma (1694). Non a caso il Savelli ripropose l’opera di fratel Andrea, protetto del Cardinale Paolo Savelli, prozìo del nostro Giovambattista.
A testimonianza dell’opera savelliana rimane una tempera postuma del decoratore atriano Ferdinando de Felice (1885), il quale così chiosa: “Un abbozzo dell’antica pittura sul soffitto di san Domenico copiata fedelmente con tutti gli errori di prospettiva, pessimo disegno e colorito delle figure, con la cattiva disposizione di essi; solo rimarchevole il soggetto. Eseguito da Giovambattista Savelli di Atri”.
Senza addentrarci ulteriormente sul perché di tale critica astiosa e non corrispondente al vero, i confratelli della reale Arciconfraternita del SS.mo Rosario, deliberarono l’abbattimento del soffitto preesistente e la costruzione del nuovo. Fu chiamato da Roma il pittore Salvatore Nobili, il quale nel 1888 portò a compimento l’opera.
Il Nobili rimarca l’elemento architettonico, a cui l’intera nuova opera sembra tendere in modo prevalente. Si direbbe che essa sia imperniata unicamente su colonne squarciate, stagliate e maggiormente evidenziate da luci penetranti dai finestroni. E’ l’ansia di arrivare allo sfondo del cielo, non per dare una illusione o il senso del meraviglioso, ma per concludere un intervento prettamente tecnico.
La figura centrale di san Domenico, avulsa da un contesto di misticismo, non riesce a rendere palpabile il continuum, che pur doveva essere l’elemento pregnante l’opera stessa. E questo distacco è maggiormente evidenziato dalla eliminazione dei gruppi di figure, per cui i raggi vanno a colpire direttamente i rappresentanti dei quattro continenti, senza rifrazione, quasi a voler sottolineare la non mediazione del santo.
Più che la gloria di san Domenico, come comunemente si crede, è illustrato l’Ordine in espansione in tutte le parti del mondo. I gruppi rappresentano i quattro continenti, colpiti da un raggio, che si sprigiona dal cuore di san Domenico.
L’Europa in atto di regale matrona, siede su un groviglio di figure che simboleggiano l’eresia sconfitta, grazie all’opera del santo. L’America come nella tradizione, è armata di lancia, seminuda con la testa di piume colorate e cavalca un puma. L’Asia, in abiti orientali, su di un cammello nel mentre due putti bruciano incenso. L’Africa, con la testa cinta da corona principesca, sorregge con la destra una zanna di elefante.
LE CAPPELLE
Si snodano lungo tutta la navata e sono dedicate, per la maggior parte, alla Madonna del SS. mo Rosario ed a santi domenicani. Esse furono costruite grazie all’apporto delle famiglie più nobili della città, tanto che in alcune troviamo l’arma del casato, quale patronato.
In particolare da sinistra a destra troviamo: Cappella di San Liborio, Cappella nobili Brigotti, Cappella del Santissimo nome di Gesù, Cappella baroni Forcella, Cappella baroni Tribuni, Cappella de Paulo (Paulis) (Adria), Cappella di S. Tommaso d’Aquino, Cappella dell’Annuncio a Maria.
IL PRESBITERIO
Qui gli elementi architettonici si fanno più ampi per il tramite di arcate a sesto tondo, poggianti su quattro lesene, nel cui centro trova posto una calotta sferica. A sinistra l’adorazione dei Magi, tela, opera di A. Tamburrelli; quella di destra: la nascita di Gesù, è di autore ignoto.
L’Altare, armonioso ed elegante, pur nella sua mastodonticità, fu costruito nel 1862 con alabastro e altri marmi pregiatissimi. L’attuale sostituì quello ligneo seicentesco, distrutto da un fulmine nel 1860.
Il Coro, in legno di noce con quindici stalli, più quello centrale riservato al superiore, era il luogo ove i religiosi si riunivano per la recita dell’ufficio divino, come nel dettato liturgico e della stessa Regola. Nella parete centrale abbiamo la grande tela, a firma di Giuseppe Prepositi di Atri, datata 1789, illustrante i vari meriti dell’Ordine domenicano. La tela è dedicata alla Madonna del Rosario. La volta è opera del pittore atriano L. Astolfi (1905) e riporta episodi della vita di san Giovanni Battista.
ORATORIO DEL ROSARIO
Dal presbiterio si accede alla cappella interna, sulle cui pareti è collocato il coro in legno di noce del XVIII secolo. Era il luogo di preghiera e raduno dei confratelli della reale Arciconfraternita del SS.mo Rosario, la più antica della città e tra le più antiche d’Abruzzo, istituita agli inizi del XV secolo. Nella parete di fondo, troviamo un fastoso altare ligneo in oro zecchino del 1629. La volta e le pareti della cappella furono dipinti dall’Astolfi, con delicatissimi grafici riproponenti, nella parte bassa le quattro Virtù teologali: Giustizia, Prudenza, Fortezza e Temperanza. Nella volta: putti scherzosi e rose a cinque petali che sottolineano la dedicazione del luogo alla Vergine del Rosario.
LE VETRATE
Opera del M° pittore Federico Tamburri di Atri (Camper Vetreria Artistica di Atri), sono state dallo stesso interamente dipinte su pregiato vetro soffiato (1984-85). Le due sulla facciata sono dedicate alla Vergine del Rosario e a san Giovanni Battista; quelle sulla fiancata di destra a santa Caterina da Siena e a san Domenico.
L’ORGANO
Dalla relazione di restauro (Prot. n.197/93 – 28/12/1993) ad opera del Dott. Pier Paolo Donati – Palazzo Pitti, FIRENZE – Gabinetto Restauro Organi
ATRI, Chiesa di S. Giovanni Battista (vulgo S. Domenico) Organo di Anonimo del secondo decennio del Settecento.
L’ organo della Chiesa di S. Giovanni Battista di Atri riveste un interesse organologico tutto particolare. Si tratta infatti di uno dei rarissimi strumenti italiani antichi che dispone di un registro ad ancia collocato in facciata, orizzontalmente come nella consolidata tradizione iberica. Le intuibili influenze culturali spagnole dipendenti dalla collocazione politica del Regno di Napoli non hanno ancora trovato una sistemazione storiografica nell’arte di costruire gli organi nell’Italia centromeridionale; il caso dello straordinario strumento di Atri, ancora anonimo, sollecita nuove indagini archivistiche in Abruzzo che certamente condurranno ad inediti e significativi sviluppi.
PORTA S. DOMENICO
Sorta verso il 1528 sulla base di ricordi gotici, fu opera di architetti militari che fortificarono le mura cittadine al tempo della guerra franco-spagnola. Negli stipiti e nel basamento troviamo elementi lapidei, che appartenevano alla preesistente porta medioevale. Anche la lapide con i classici gigli angioini e tre scudi triangolari che si trova in alto all’esterno, è un elemento di spoglio della porta precedente.
Bibliografia:
Cipollini P.M., Arte e Storia – La Chiesa di San Giovanni Battista in Atri Secoli XIV-XIX
Collana di “Studi Abuzzesi” N. 20 a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale dell’Abruzzo – 1994
Per la Porta S. Domenico:
Bibliografia: Trubiani, B., Atri Città d’arte, Edizioni Menabò – D’Abruzzo